&uot andreagaschi.org

"Tenete gli occhi aperti"

Manco da tanto, ma in questo mese il lavoro ha assorbito molto del mio tempo; e il rimanente è stato equamente suddiviso tra la lettura e la pratica del gioco più bello del mondo: il golf!
Verrà il momento per affrontare la questione golf. Ma ora, attraverso le parole di altri (come quasi sempre accade), vorrei esprimere un punto di vista che ho fatto mio su Le Cronache di Narnia, il capolavoro di C.S. Lewis, un autore della mia infanzia, perduto e ora ritrovato grazie ad un bellissimo film.

Dall’articolo No, non è un mito, sono le Cronache di Narnia di Roberto Persico e Edoardo Rialti

Un'amicizia profonda e carica di conseguenze straordinariamente feconde, quella fra i due. Nel settembre del 1931 Clive Staples Lewis è uno studioso affermato, professore di letteratura inglese antica al prestigioso Magdalen College di Oxford.
La sera del 19 settembre 1931 nella stanza di Lewis al Magdalen inizia con l'amico Hugo Dyson, cui poco dopo si aggiunge John R. R. Tolkien, una conversazione che proseguirà fino alle tre di notte lungo i viali del college. Argomento, i miti e la realtà. «Ora, quello che Dyson e Tolkien mi hanno mostrato era questo: che se io incontro l'idea di un sacrificio in un racconto pagano questa non mi crea alcun problema: anzi, che se mi trovo accanto un dio che si sacrifica, ne sono attratto e misteriosamente commosso: ancora, che l'idea di un Dio che muore e risorge (Balder, Adone, Bacco) mi colpisce così tanto a condizione che la trovi ovunque tranne che nei Vangeli. Ora, la storia di Cristo è semplicemente un mito vero: un mito che agisce su di noi come gli altri, ma con la tremenda differenza che questo è davvero avvenuto. Cioè, le storie pagane sono Dio che esprime se stesso attraverso la mente dei poeti, facendo uso delle immagini che vi ha trovato, mentre il cristianesimo è Dio che esprime Se stesso attraverso quello che chiamiamo "realtà"».
Da quella sera, Lewis diventa cristiano.
È uno dei paradossi dell'umorismo di Dio che lo strumento della conversione di Lewis sia stato un uomo che non avrebbe dovuto piacergli: «Alla mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista, e (apertamente) al mio arrivo alla facoltà di inglese di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l'uno e l'altro». L'amicizia fra i due era incominciata cinque anni prima, all'interno di quel gruppo di scrittori e studiosi che aveva preso a incontrarsi regolarmente nell'ufficio di Lewis o al pub "The eagle and the child" e che si era ribattezzato gli "Inklings" (vocabolo coniato da Lewis, significa all'incirca "inchiostratori", in italiano diremmo "imbrattacarte"). Le loro discussioni partivano dalla letteratura e si allargavano a tutti gli aspetti della vita. È qui che una sera Lewis aveva detto a Tolkien la frase fatidica: «Caro Tollers, credo che se vogliamo leggere storie come piacciono a noi dovremo scrivercele da soli». È qui che Tolkien aveva letto i primi capitoli de Lo hobbit, incerto sul suo valore, ricevendo da Lewis l'apprezzamento e l'esortazione a continuare che porteranno alla creazione dell'epica della Terra di Mezzo. È sempre nelle riunioni degli Inklings che Lewis legge le bozze di Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra, Quell'orribile forza, la trilogia in cui rappresenta in uno scenario fantascientifico la lotta cosmica fra Dio e il Nemico (si può cominciare dall'ultimo, la partita decisiva che si gioca sulla Terra, fra un mostruoso progetto di dominio tecnologico e uno scalcinato e lieto gruppetto di irriducibili cristiani).
È infine nel solito pub che Lewis comincia a leggere Il leone, la strega e l'armadio - scritto per Lucy, figlia adottiva dell'amico Owen Barfield, malata di sclerosi multipla -, primo dei sette romanzi che finiranno per comporre il ciclo de Le cronache di Narnia.

Andrew Adamson ha girato la pellicola nella sua Nuova Zelanda, fra gli stessi scenari spettacolari de Il signore degli anelli; il film è una ricostruzione attenta del magico mondo di Narnia, con alcuni momenti davvero appassionanti: l'evacuazione da Londra, il primo ingresso di Lucy, la bambina più piccola, nell'armadio e l'improvviso spalancarsi di questo altro impensabile paesaggio, la glaciale malvagità della Strega Bianca, il sacrificio di Aslan - personaggio cui pure si poteva dedicare un poco più di attenzione e il cui doppiaggio con la voce di Omar Sharif risulta piuttosto fastidioso - e la battaglia finale.
C'è un passaggio in particolare dove, con una battuta non presente nel libro, il regista mostra di cogliere il cuore del racconto di Lewis: alla notizia di essere i quattro uomini attesi da tutto un mondo per iniziare la guerra di liberazione dal male, Susan esclama: «Guerra? Ma nostra madre non ci aveva fatto andare via dalla città proprio per evitare la guerra?». Il film inizia infatti con i bombardamenti dei nazisti e termina con una colossale battaglia tra creature fantastiche, sotto la luce abbagliante di un altro mondo. Non una guerra diversa, ma la stessa su un piano ancor più chiaro e definitivo. Intelligente intuizione: il libro di Lewis uscì proprio all'indomani della Seconda guerra mondiale, che per decine di migliaia di bambini inglesi era stato il confronto con una minaccia ostile e paurosamente vicina, che li aveva strappati alle loro famiglie ed in molti casi resi orfani. Pure, Lewis alza il tiro e suggerisce che alla guerra non ci possiamo comunque sottrarre, nessuno escluso, grandi e piccini. C'è sempre da lottare contro il male, dentro e fuori di noi. Il regista a sua volta si appropria di questo richiamo.

Ma il film, come il libro, fa un altro passo in avanti: non è un conflitto per superuomini, ma per ciascuno; quello che conta davvero è scoprirsi oggetto di un amore e di una forza più grande, che pure sulle deboli forze e sulla libertà degli uomini decide di puntare tutto. Ecco l'incontro con Aslan il Leone, vero re e creatore di Narnia, che si sacrifica per salvare uno dei quattro bambini (non a caso il traditore del gruppo). È possibile davvero amare, uscire da se stessi e sacrificarsi solo quando si è già stati resi partecipi di un amore così. Ecco che allora davvero anche quattro bambini, spauriti, incerti possono accettare di mettersi alla guida di un esercito e lottare contro gli incantesimi dei poteri malvagi. Nel film tutto un mondo di creature mitologiche e animali parlanti segue in battaglia quei quattro "figli di Adamo" - un'immagine che richiama l'intuizione di Romano Guardini: «Quando un uomo intraprende il cammino della verità tutte le forze buone del cielo e della terra si uniscono a lui». Peter, il maggiore dei quattro, cui Aslan affida il comando supremo, solleva la spada e la punta in direzione della Strega Bianca, che ricambia con uno sguardo carico d'odio. La scena ricorda Aragorn ne "Il Signore degli anelli", che a sua volta aveva sollevato la spada in gesto di sfida contro l'occhio fiammeggiante di Sauron. In entrambi i casi vediamo raccontata, da Tolkien come da Lewis, cosa sia un'autorità: un uomo chiamato da un potere più grande, che lo ama infinitamente, a fare da perno per tutti gli altri, ad essere «la sentinella dell'universo» - come ricordava il cardinal Newman, non per nulla all'origine di quel movimento di ritorno alla Chiesa che abbracciò anche Tolkien e Lewis. Il male ci odia, e digrigna i denti come la Strega Bianca, proprio perchè siamo il luogo di questa alleanza. Un film insomma semplice e chiaro, che lascia che l'incantesimo della fiaba e dell'allegoria di Lewis agisca ancora una volta su di noi. E che fa intelligentemente suo il consiglio del vecchio professor Kirke ai quattro ragazzi, forse la più bella battuta che un insegnante possa pronunciare: «Tenete gli occhi aperti».

Tratto da Tempi, 22/12/2005.
 

Comments: Post a Comment

<< Home