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La guerra che non si può vincere

"Altri mali potranno sopraggiungere, perché Sauron stesso non è che un servo o un emissario. Ma non tocca noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare."

(J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli)

La guerra contro l'Ombra non si può vincere mai completamente, ma questo non significa che non valga la pena combatterla.
 

La Fallaci: perché la Turchia non deve entrare in Europa

Stavo quasi per mancare completamente un grande articolo di oriana sull'assassinio di Don Andrea in Turchia.
Per fortuna l'ho scovato nel blog di La rabbia e L'orgoglio. Grazie!

L'assassinio di don Santoro e la vile reazione dell'Occidente sono la dimostrazione di quanto ho scritto nella mia Trilogia
Questo capitolo dell'"Apocalisse", il terzo libro della Trilogia pubblicato all'inizio del 2005, non contiene l'episodio più significativo e più scandaloso e più straziante e più imperdonabile della guerra che l'Islam ha dichiarato all'Occidente. Cioè il martirio di don Andrea Santoro, assassinato domenica scorsa, subito dopo la Messa, nella sua piccola Chiesa di Trebisonda mentre inginocchiato dinanzi all'altare pregava. Pregava, (suppongo anzi ne sono certa), anche per il nemico che trattiamo da amico. In questo caso, per la Turchia: il paese che i califfi e i visir di un Occidente ormai asservito all'Islam vogliono portare dentro l'Unione Europea sebbene l'Unione Europea sia da duemila anni composta da cristiani che bene o male vivono sui civili concetti e sui civili valori cristiani. La Turchia, da mussulmani che da oltre milletrecento anni scrupolosamente vivono sui non civili concetti e non civili valori mussulmani. Ad assassinarlo col consueto bercio "Allah Akbar-Allah Akbar", il turco sedicenne che i nostri giornali e le nostre televisioni presentano come un ragazzo ferito dalle divertenti e innocue vignette apparse in Danimarca sul Profeta spadaccino e tagliatore di teste. Manca pure il racconto della consueta viltà con cui i nostrani califfi e i nostrani visir, i presunti pacifisti del Politically Correct, gli arcobalenisti della Sinistra e della Destra e del Centro, i complici del nemico che trattiamo da amico, commentano il delitto. La viltà con cui, nella speranza o nell'illusione di salvare la propria pelle, condannano la satira: principio della libertà di pensiero e di opinione e di parola che la nostre Costituzioni sostengono di garantire. Quei califfi e quei visir che mai, dico mai, osano condannare la satira quando deride Gesù Cristo in Croce. Con Gesù Cristo, le Madonne e i santi e i preti e le monache e gli inermi cittadini che non possono difendersi perché nella nostra inerte e ambigua democrazia essi non hanno voce. Quei califfi e quei visir che mai, dico mai, protestano contro le vignette e le canzonacce e i film e le pièces teatrali che irridono i cristiani e in particolare i cattolici. Contro le fotografie pubblicitarie, inoltre, dove giovinetti vogliosi esibiscono la corona di spine che Cristo portava sulla via del Golgota. Non manca invece l'ennesima prova che avevo ed ho ragione quando, tacciata di miserabile ed empia e peccatrice e malata mentale, vengo accusata di xenofobia e blasfemia e vilipendio all'Islam perché denuncio i nuovi nazisti della Terra. Perché metto in guardia contro gli invasori che attraverso il loro non misericordioso Corano fanno dell'odio la propria filosofia. La propria teologia. Occhi negli occhi: sono quattr'anni che, insultata e perseguitata e minacciata di morte, grido «Troia brucia! Troia brucia!». Sono quattr'anni che, definita guerrafondaia e decapitata nei quadri dove pessimi pittori mi ritraggono con la testa mozza, imploro di ragionare e mi sgolo a ripetere: «Sveglia, Occidente, sveglia! Siamo in guerra, e in guerra bisogna combattere. Chi si arrende è perduto». Ma invano. Pluriculturalismo, integrazione, dialogo?!? Io continuerò a dire ciò che dico, ad esempio in queste pagine sulla Turchia, finché avrò un filo di fiato. Col permesso dell'autore, nonché riveduto e corretto, pubblichiamo il capitolo sulla Turchia contenuto nel terzo volume della Trilogia di Oriana Fallaci, cioè in Oriana Fallaci intervista sé stessa-L'Apocalisse, edito da Rizzoli International e a marzo anche nelle librerie statunitensi ORIANA FALLACI. Sulla faccenda dei mussulmani moderati devo porle un'ultima domanda, anzi rivolgerle un'ultima provocazione, ed ecco: l'Islam Moderato non esiste. Ne convengo. Ce lo siamo inventato noi occidentali col nostro ottimismo o il nostro cinismo, la nostra ipocrisia e la nostra paura. La nostra dabbenaggine. Ma i mussulmani moderati esistono? ORIANA FALLACI. Anche secondo il calcolo matematico delle probabilità dovrebbero esistere, devono esistere. Pensi ad Abdel Rahman al-Rashed, l'editorialista saudita che ha coniato la sacrosanta frase: «Non tutti i mussulmani sono terroristi ma tutti i terroristi sono mussulmani». Però si tratta di una minoranza esigua. Così esigua che fare assegnamento su di loro, sperare che possano cambiare il mondo al quale appartengono, è pura utopia. Apra gli occhi: nove casi su dieci gli Abdel Rahman al-Rashed stanno al cimitero o in prigione. Ad augurarsi di morire presto. Nei loro paesi non hanno alcun peso, non contano nulla, sono ignorati. Inclusi i paesi che sembrano di manica larga come l'Egitto e la Tunisia e l'Algeria, le presunte democrazie del Maghreb. Cara amica, al di là dell'Occidente esiste un'unica democrazia ed è la democrazia che governa Israele. A volte quei "moderati" stanno anche da noi, è vero: in America o in Europa dove sono scappati per sfuggire alle prigioni e ai cimiteri. Intellettuali, nove casi su dieci. Letterati, scienziati. Qualche artista. Ma da noi vivono nel limbo degli esuli che non sono più né carne né pesce. Ed anche se ogni tanto scrivono un libro o un articolino contro chi li ha costretti a scappare, hanno troppa paura di esporsi. Di mettere in pericolo i parenti rimasti in patria o d'essere uccisi all'estero da qualche sicario. Quasi ciò non bastasse, le masse ignoranti e bigotte che da noi sono venute in cerca di fortuna, non di libertà, li disprezzano. Non li ascoltano, non li leggono, non li frequentano. Addirittura li chiamano traditori, spergiuri, apostati. E in certo senso lo sono. Perché da noi mangiano il prosciutto, bevono il vino, ascoltano la musica, rispettano le donne, vanno poco o non vanno affatto alla moschea, magari non osservano il Ramadan. Cambiano, insomma. Diventano mussulmani non più mussulmani, scoprono che Ernest Renan aveva ragione a sostenere che l'Islam è il «regno del dogma assoluto: la più pesante catena che sia stata imposta al genere umano». Dimentichi Abdel Rahman al-Rashed. Lui non è un vero mussulmano. È un tipo come noi due. Un fuorilegge, un eretico, una mosca bianca che vorrebbero schiacciare con lo schiacciamosche. Sa chi è un vero mussulmano? Il presidente dell'Associazione Scrittori Siriani che al Convegno di Damasco declamò: «Quando sono crollate le Due Torri ho sentito ciò che credo si senta a resuscitare, a uscire dalla tomba dentro cui siamo stati sepolti. M'è parso di salire in cielo, di volare sopra il cadavere della potenza imperialista americana. I miei polmoni si sono riempiti d'aria, ho respirato dolcemente, e ho goduto come non avevo mai goduto». Vero mussulmano è l'ex-imam di Cremona, quel Najib Rouass che l'8 dicembre 2003 venne arrestato perché nella moschea di Cremona predicava così: «Che la nostra religione diventi una spada per spazzar via i cristiani. Che la terra crolli sotto i loro piedi come un terremoto. Che bombe esplodano su di loro e i loro figli. Che Allah cancelli quei cani infedeli dalla faccia dellaTerra».Vero mussulmano è lo sceicco Yusuf al-Qaradawi: super-ossequiato teologo che dopo l'Undici Settembre la Comunità di Sant'Egidio invitò al Summit di Roma insieme al presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. (Ahimé). Che dagli schermi di Al Jazeera sprona i macellai di al Qaeda ad ammazzarci. Che della nostra dabbenaggine si serve per tenere a Londra le proprie figlie, come ha svelato Abdel Rahman al-Rashed. E che nel maggio del 2003 ha cancellato il tabù delle donne kamikaze. Un tabù fino a quel momento in vigore perché stando al Corano una donna non può uscir di casa sola e perché, a finire smembrato, il suo corpo rischia di mostrare le parti intime.
 

Neo-darwinismo

Nei giorni scorsi si è festeggiata a Milano la nascita di Charles Darwin, e mi è parso un buon motivo per tornare a parlare dell'approccio con cui in neo-darwinisti affrontano il dibattito.
Perché se l'evoluzione biologica è un fatto supportato da innumerevoli evidenze fossili e genetiche, il "neo-darwinismo" è solo una teoria, non da tutti ritenuta soddisfacente, che cerca di spiegarne i meccanismi: scientificamente la questione è aperta. Ed è una teoria indebitamente esaltata per ragioni ideologiche. Lo stesso termine "neo-darwinismo" è diventato ambiguo, sinonimo di una posizione filosofica più che di una ipotesi scientifica, come documenta l'infelice intervento di James Watson sul Corriere della Sera del 29 settembre: «Uno dei doni più grandi che la scienza - e in particolare il darwinismo - ha fatto al mondo è la continua eliminazione del soprannaturale».
Il suo essere è così diventato feticcio ideologico, che esclude ogni plausibile razionalità nella storia umana, il suo essere maschera per una filosofia del mondo riduzionista e materialista da cui passa tutto il resto, eutanasia, manipolazione embrionale, ingegneria genetica.
 

"Tenete gli occhi aperti"

Manco da tanto, ma in questo mese il lavoro ha assorbito molto del mio tempo; e il rimanente è stato equamente suddiviso tra la lettura e la pratica del gioco più bello del mondo: il golf!
Verrà il momento per affrontare la questione golf. Ma ora, attraverso le parole di altri (come quasi sempre accade), vorrei esprimere un punto di vista che ho fatto mio su Le Cronache di Narnia, il capolavoro di C.S. Lewis, un autore della mia infanzia, perduto e ora ritrovato grazie ad un bellissimo film.

Dall’articolo No, non è un mito, sono le Cronache di Narnia di Roberto Persico e Edoardo Rialti

Un'amicizia profonda e carica di conseguenze straordinariamente feconde, quella fra i due. Nel settembre del 1931 Clive Staples Lewis è uno studioso affermato, professore di letteratura inglese antica al prestigioso Magdalen College di Oxford.
La sera del 19 settembre 1931 nella stanza di Lewis al Magdalen inizia con l'amico Hugo Dyson, cui poco dopo si aggiunge John R. R. Tolkien, una conversazione che proseguirà fino alle tre di notte lungo i viali del college. Argomento, i miti e la realtà. «Ora, quello che Dyson e Tolkien mi hanno mostrato era questo: che se io incontro l'idea di un sacrificio in un racconto pagano questa non mi crea alcun problema: anzi, che se mi trovo accanto un dio che si sacrifica, ne sono attratto e misteriosamente commosso: ancora, che l'idea di un Dio che muore e risorge (Balder, Adone, Bacco) mi colpisce così tanto a condizione che la trovi ovunque tranne che nei Vangeli. Ora, la storia di Cristo è semplicemente un mito vero: un mito che agisce su di noi come gli altri, ma con la tremenda differenza che questo è davvero avvenuto. Cioè, le storie pagane sono Dio che esprime se stesso attraverso la mente dei poeti, facendo uso delle immagini che vi ha trovato, mentre il cristianesimo è Dio che esprime Se stesso attraverso quello che chiamiamo "realtà"».
Da quella sera, Lewis diventa cristiano.
È uno dei paradossi dell'umorismo di Dio che lo strumento della conversione di Lewis sia stato un uomo che non avrebbe dovuto piacergli: «Alla mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista, e (apertamente) al mio arrivo alla facoltà di inglese di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l'uno e l'altro». L'amicizia fra i due era incominciata cinque anni prima, all'interno di quel gruppo di scrittori e studiosi che aveva preso a incontrarsi regolarmente nell'ufficio di Lewis o al pub "The eagle and the child" e che si era ribattezzato gli "Inklings" (vocabolo coniato da Lewis, significa all'incirca "inchiostratori", in italiano diremmo "imbrattacarte"). Le loro discussioni partivano dalla letteratura e si allargavano a tutti gli aspetti della vita. È qui che una sera Lewis aveva detto a Tolkien la frase fatidica: «Caro Tollers, credo che se vogliamo leggere storie come piacciono a noi dovremo scrivercele da soli». È qui che Tolkien aveva letto i primi capitoli de Lo hobbit, incerto sul suo valore, ricevendo da Lewis l'apprezzamento e l'esortazione a continuare che porteranno alla creazione dell'epica della Terra di Mezzo. È sempre nelle riunioni degli Inklings che Lewis legge le bozze di Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra, Quell'orribile forza, la trilogia in cui rappresenta in uno scenario fantascientifico la lotta cosmica fra Dio e il Nemico (si può cominciare dall'ultimo, la partita decisiva che si gioca sulla Terra, fra un mostruoso progetto di dominio tecnologico e uno scalcinato e lieto gruppetto di irriducibili cristiani).
È infine nel solito pub che Lewis comincia a leggere Il leone, la strega e l'armadio - scritto per Lucy, figlia adottiva dell'amico Owen Barfield, malata di sclerosi multipla -, primo dei sette romanzi che finiranno per comporre il ciclo de Le cronache di Narnia.

Andrew Adamson ha girato la pellicola nella sua Nuova Zelanda, fra gli stessi scenari spettacolari de Il signore degli anelli; il film è una ricostruzione attenta del magico mondo di Narnia, con alcuni momenti davvero appassionanti: l'evacuazione da Londra, il primo ingresso di Lucy, la bambina più piccola, nell'armadio e l'improvviso spalancarsi di questo altro impensabile paesaggio, la glaciale malvagità della Strega Bianca, il sacrificio di Aslan - personaggio cui pure si poteva dedicare un poco più di attenzione e il cui doppiaggio con la voce di Omar Sharif risulta piuttosto fastidioso - e la battaglia finale.
C'è un passaggio in particolare dove, con una battuta non presente nel libro, il regista mostra di cogliere il cuore del racconto di Lewis: alla notizia di essere i quattro uomini attesi da tutto un mondo per iniziare la guerra di liberazione dal male, Susan esclama: «Guerra? Ma nostra madre non ci aveva fatto andare via dalla città proprio per evitare la guerra?». Il film inizia infatti con i bombardamenti dei nazisti e termina con una colossale battaglia tra creature fantastiche, sotto la luce abbagliante di un altro mondo. Non una guerra diversa, ma la stessa su un piano ancor più chiaro e definitivo. Intelligente intuizione: il libro di Lewis uscì proprio all'indomani della Seconda guerra mondiale, che per decine di migliaia di bambini inglesi era stato il confronto con una minaccia ostile e paurosamente vicina, che li aveva strappati alle loro famiglie ed in molti casi resi orfani. Pure, Lewis alza il tiro e suggerisce che alla guerra non ci possiamo comunque sottrarre, nessuno escluso, grandi e piccini. C'è sempre da lottare contro il male, dentro e fuori di noi. Il regista a sua volta si appropria di questo richiamo.

Ma il film, come il libro, fa un altro passo in avanti: non è un conflitto per superuomini, ma per ciascuno; quello che conta davvero è scoprirsi oggetto di un amore e di una forza più grande, che pure sulle deboli forze e sulla libertà degli uomini decide di puntare tutto. Ecco l'incontro con Aslan il Leone, vero re e creatore di Narnia, che si sacrifica per salvare uno dei quattro bambini (non a caso il traditore del gruppo). È possibile davvero amare, uscire da se stessi e sacrificarsi solo quando si è già stati resi partecipi di un amore così. Ecco che allora davvero anche quattro bambini, spauriti, incerti possono accettare di mettersi alla guida di un esercito e lottare contro gli incantesimi dei poteri malvagi. Nel film tutto un mondo di creature mitologiche e animali parlanti segue in battaglia quei quattro "figli di Adamo" - un'immagine che richiama l'intuizione di Romano Guardini: «Quando un uomo intraprende il cammino della verità tutte le forze buone del cielo e della terra si uniscono a lui». Peter, il maggiore dei quattro, cui Aslan affida il comando supremo, solleva la spada e la punta in direzione della Strega Bianca, che ricambia con uno sguardo carico d'odio. La scena ricorda Aragorn ne "Il Signore degli anelli", che a sua volta aveva sollevato la spada in gesto di sfida contro l'occhio fiammeggiante di Sauron. In entrambi i casi vediamo raccontata, da Tolkien come da Lewis, cosa sia un'autorità: un uomo chiamato da un potere più grande, che lo ama infinitamente, a fare da perno per tutti gli altri, ad essere «la sentinella dell'universo» - come ricordava il cardinal Newman, non per nulla all'origine di quel movimento di ritorno alla Chiesa che abbracciò anche Tolkien e Lewis. Il male ci odia, e digrigna i denti come la Strega Bianca, proprio perchè siamo il luogo di questa alleanza. Un film insomma semplice e chiaro, che lascia che l'incantesimo della fiaba e dell'allegoria di Lewis agisca ancora una volta su di noi. E che fa intelligentemente suo il consiglio del vecchio professor Kirke ai quattro ragazzi, forse la più bella battuta che un insegnante possa pronunciare: «Tenete gli occhi aperti».

Tratto da Tempi, 22/12/2005.