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Chiudete quella non-scuola!

Visto che proprio oggi sul Corriere ho letto di nuovi sviluppi del caso della “non-scuola” islamica di Via Quaranta, direi che prima di tutto è necessario ripassare un po’ la situazione (facendo riferimento soprattutto all'articolo apparso su Tempi num.39 del 22/09/2005). Prima di tutto, “non-scuola” perché mi rifiuto di chiamarla in altro modo e per giustificarmi, niente è più esplicito delle parole dell'assessore all'Istruzione di Milano, Bruno Simini: “Non abbiamo chiuso via Quaranta perché era una scuola, ma l'abbiamo chiusa per il motivo opposto: perché non era una scuola».

La vicenda ha inizio con quattordici anni di ritardo dalla sua origine e solo grazie all'articolo sul Corriere della sera di Magdi Allam che, il 30 agosto, ha segnalato che a Milano dei “predicatori-docenti fai da te” hanno organizzato “una scuola elementare e media a tempo pieno, che oggi vanta circa cinquecento iscritti e che da oltre dieci anni opera nel più assoluto arbitrio, senza autorizzazione né da parte dell'Italia né da parte dell'Egitto a cui fanno riferimento i testi adottati”. Allam chiede che si cominci “a far applicare la legge” chiudendo la madrassa. Da quel giorno ad oggi sarà un diluvio di dichiarazioni, ruotanti attorno al provvedimento del Prefetto Bruno Ferrante di dichiarare la scuola inagibile. I genitori e il direttore, Aly Sharif, chiedono “una sede provvisoria e poi la parità”. E nonostante da molte parti si levino grida di solidarietà [che trasformerei volentieri in grida di dolore], almeno una parte di istituzioni segue la linea dura; prima tra tutti il ministro dell'Educazione Letizia Moratti, convinta della necessità di chiudere la madrassa (“sono contraria a soluzioni che isolino gli studenti islamici”), in linea con la fermezza dimostrata l'anno passato (nel liceo di via Agnesi s'era cercato di costituire una classe di soli studenti islamici che provenivano proprio da via Quaranta). Sulla linea dell'intransigenza anche il sindaco di Milano, Gabriele Albertini (FI), e il presidente della Provincia, Filippo Penati (DS). Da ultimo anche Mario Scialoja, capo delle comunità islamiche d'Italia, s'è pronunciato: “Andava chiusa molto prima, la struttura sottraeva 500 alunni alla scuola dell'obbligo e se fosse successo in Francia sarebbe successo il finimondo”. Il vicepresidente al Parlamento europeo, Mario Mauro (FI), fa notare a Tempi che in questo clima, a metà tra il ricattatorio e l'omertoso, “risalta un paradosso: in Egitto o Tunisia il fenomeno delle madrasse è represso, da noi è tollerato. Nel caso di via Quaranta le istituzioni non sono rimaste indifferenti ed hanno così chiuso una scuola, legata ad una moschea indagata per legami con il terrorismo internazionale, che per dieci anni ha operato al di fuori di ogni regolamentazione didattica”.
Sopra tutte le altre svetta la voce forte di Magdi Allam, che continua la sua crociata [e noi lo ringraziamo!] perché al tavolo delle trattative con il prefetto sono stati ammessi Aly Sharif ed alcuni esponenti della moschea di viale Jenner. “È del tutto inaccettabile” dice Magdi Allam a Tempi. “Sharif è vicino all'imam Abu Imad e al presidente della moschea di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, responsabili della moschea italiana più collusa col terrorismo internazionale. La madrassa è nata dentro la moschea e poi, per problemi logistici e col beneplacito di ambienti della sinistra cattolica, si è trasferita nello stabile attuale. è paradossale che lo Stato italiano possa considerare interlocutori attendibili i gestori di un istituto illegale e i loro manovratori pluri inquisiti”. Allam nota il fatto che il centro adotti i testi del ministero dell'Istruzione egiziano e altri testi religiosi fortemente ideologizzati “che non sarebbero riconosciuti nemmeno in Egitto”. Sebbene Antoniazzi abbia garantito che la scuola sia nata in collaborazione con le autorità egiziane in Italia, per Allam “come mi è stato riferito dall'ambasciatore Helmy Bedeir, l'Egitto non ha nulla a che fare con questa iniziativa. Il ministero dell'Istruzione egiziano, ogni anno, sottopone gli studenti residenti all'estero a un esame personale presso il consolato, ma senza, con questo, voler avvallare alcuna scuola araba che operi al di fuori delle leggi del paese ospitante”. E quest’ultimo punto è fondamentale: sul Corriere di oggi sono state trascritte alcune lettere di lettori [ignoranti come capre] che chiedevano a gran voce il riconoscimento della “non-scuola”. Signori miei, non si possono paragonare le scuole straniere in Italia, come quelle francesi e americane con la situazione di Via Quaranta. Le scuole che voi citate [attenzione, in questo caso si può parlare di “scuole”], sono riconosciute: a) dallo stato che le ospita, in questo caso l’Italia, e sono comunque tenute a rispettare certe regole; b) dallo stato di origine, alle cui disposizioni in fatto di programmi e libri di testo si devono attenere. La “non-scuola” in questione invece non fa nulla di tutto ciò, anzi utilizza come libri di testo opere vietate nelle scuole egiziane ed agisce senza alcun riconoscimento da parte dello stato egiziano.

Concludendo, per ora, vi dico solo che i beceri che hanno organizzato questa farsa e i genitori di quei poveri ragazzi non hanno alcun diritto di chiedere un riconoscimento, essendosi posti fuori dalla legge italiana. E in quanto fuorilegge devono essere puniti, non gli deve nemmeno essere concesso di trattare. Riprendendo le parole dell’assessore Cimini, “Non si può andare avanti così. Non possiamo adeguare le nostre leggi alle loro esigenze, soprattutto se le loro richieste sono illegali. Che adesso, poi, con queste sceneggiate, cerchino una sponda nell'opinione pubblica affinché qualcuno, con la lacrimuccia al viso, tenga loro bordone, è inaccettabile. Non abbiamo chiuso via Quaranta perché era una scuola, ma l'abbiamo chiusa per il motivo opposto: perché non era una scuola”. Punto.
 

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